lunedì 18 dicembre 2017

Quando la "gnagnera" ti prende la mano.


E’ ormai circa un anno che non affido  più niente a questo “diario” delle mie emozioni .

Il tempo scorre ad una velocità supersonica, soprattutto ad una certa età.
Il mondo per quelli della mia generazione sembra impazzito: 
si torna a parlare di bombe/razzi termonucleari ed  il populismo, il fascismo/nazismo sembrano tornare ad affascinare le nuove generazioni; la gente non si parla più se non attraverso i social, si “stipulano” amicizie sul web e poi le stesse persone se si incontrano per strada difficilmente si salutano, concentrate come sono sul proprio smartphone; Trump stabilisce che la capitale di Israele è Gerusalemme; i morti determinati da presunti credi religiosi, più semplicemente da vigliaccherie, non si contano più;  la gente continua a morire per fame e a causa dei  dilaganti neo-razzismi/egoismi, ovunque: in fondo al mediterraneo, nei deserti, lungo le  innumerevoli vie della miseria e di improbabili esodi. Tutto ciò mentre noi ci accapigliamo sulle conversazioni di una ministra con un responsabile della CONSOB. Chiediamo che ne pensano
 ai disperati, a chi è costretto a piatire la vita, per se’ e per la sua famiglia, di fronte a ragazzotti  armati di Kalashnikov, imbottiti di droga  e conditi di fuorvianti ideologie  pseudo religiose.
Potrei continuare con questa “gnagnera” che quando mi prende non finisce più, secondo me l’età c’entra qualcosa. Non senza  sforzo mi fermo, cerco però di immaginare quale mondo lasceremo alle future generazioni, alle mie bellissime e amatissime  nipotine che iniziano ora a frequentare i  banchi di scuola con l’ansia impaziente e la gioia inconsapevole di tutta una vita da percorrere.
E’ proprio pensando alla nuova avventura di Maria Vittoria e Beatrice che mi è tornato in mente il più breve scritto di Isaac Asimov, colui che è stato considerato il più grande scrittore di fantascienza e non solo. Si tratta di un brevissimo racconto del 1954, considerato da Asimov stesso la più grande sorpresa della sua carriera. Questo racconto divenne celebre e fu ristampato, dopo che l'autore l'aveva scritto, su richiesta di un suo amico che lo voleva portare ad alcuni bambini a cui faceva da insegnante. Narra di due bambini del futuro che trovano in una soffitta un vecchio libro, che descrive, tra le altre cose, le caratteristiche del sistema scolastico del XX secolo.
Poiché è breve lo ripropongo di seguito anche se forse non c’entra niente con quello che ho detto sopra, ma non ne sono convinto.



Chissà come si divertivano!
di Isaac Asimov

Margie lo scrisse perfino nel suo diario, quella sera. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157, scrisse: “Oggi Tommy ha trovato un vero libro!”
Era un libro antichissimo. Il nonno di Margie aveva detto una volta che, quand’era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c’era stata un’epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta.
Si voltavano le pagine, che erano gialle e fruscianti, ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi, com’era previsto che facessero: su uno schermo, è logico. E poi, quando si tornava alla pagina precedente, sopra c’erano le stesse parole che loro avevano già letto la prima volta
– Mamma mia, che spreco – disse Tommy. – Quando uno è arrivato in fondo al libro, che cosa fa? Lo butta via, immagino. Il nostro schermo televisivo deve avere avuto un milione di libri, sopra, ed è ancora buono per chissà quanti altri. Chi si sognerebbe di buttarlo via?
– Lo stesso vale per il mio – disse Margie. Aveva undici anni, lei, e non aveva visto tanti telelibri quanti ne aveva visti Tommy. Lui di anni ne aveva tredici.
– Dove l’hai trovato? – gli domandò, – In casa. – Indicò senza guardare, perché era occupatissimo a leggere. – In solaio.
– Di cosa parla? – Di scuola.
– Di scuola? – Il tono di Margie era sprezzante. – Cosa c’è da scrivere, sulla scuola? Io, la scuola, la odio.
Margie aveva sempre odiato la scuola, ma ora la odiava più che mai. L’insegnante meccanico le aveva assegnato un test dopo l’altro di geografia, e lei aveva risposto sempre peggio, finché la madre aveva scosso la testa, avvilita, e aveva mandato a chiamare l’Ispettore della Contea.
Era un omino tondo tondo, l’Ispettore, con una faccia rossa e uno scatolone di arnesi con fili e con quadranti. Aveva sorriso a Margie e le aveva offerto una mela, poi aveva smontato l’insegnante in tanti pezzi.
Margie aveva sperato che poi non sapesse più come rimetterli insieme, ma lui lo sapeva e, in poco più di un’ora, l’insegnante era di nuovo tutto intero, largo, nero e brutto, con un grosso schermo sul quale erano illustrate tutte le lezioni e venivano scritte tutte le domande.
Ma non era quello, il peggio. La cosa che Margie odiava soprattutto era la fessura dove lei doveva infilare i compiti e i testi compilati. Le toccava scriverli in un codice perforato che le avevano fatto imparare quando aveva sei anni, e il maestro meccanico calcolava i voti a una velocità spaventosa.
L’ispettore aveva sorriso, una volta finito il lavoro, e aveva accarezzato la testa di Margie. Alla mamma aveva detto: – Non è colpa della bambina, signora Jones. Secondo me, il settore geografia era regolato male. Sa, sono inconvenienti che capitano, a volte.
L’ho rallentato. Ora è su un livello medio per alunni di dieci anni. Anzi, direi che l’andamento generale dei progressi della scolara sia piuttosto soddisfacente. – E aveva fatto un’altra carezza sulla testa a Margie.
Margie era delusa. Aveva sperato che si portassero via l’insegnante, per ripararlo in officina. Una volta s’erano tenuti quello di Tommy per circa un mese, perché il settore storia era andato completamente a pallino.
Così, disse a Tommy: – Ma come gli viene in mente, a uno, di scrivere un libro sulla scuola?
Tommy la squadrò con aria di superiorità. – Ma non è una scuola come la nostra, stupida! Questo è un tipo di scuola molto antico, come l’avevano centinaia e centinaia di anni fa. – Poi aggiunse altezzosamente, pronunciando la parola con cura. – Secoli fa.
Margie era offesa. – Be’ io non so che specie di scuola avessero, tutto quel tempo fa. – Per un po’ continuò a sbirciare il libro, china sopra la spalla di lui, poi disse: – Inogni modo, avevano un maestro.
– Certo che avevano un maestro, ma non era un maestro regolare. Era un uomo.
– Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro?
– Be’, spiegava le cose ai ragazzi e alle ragazze, dava da fare dei compiti a casa e faceva delle domande.
– Un uomo non è abbastanza in gamba.
– Sì che lo è. Mio papà ne sa quanto il mio maestro.
– Ma va’! Un uomo non può saperne quanto un maestro.
– Ne sa quasi quanto il maestro, ci scommetto.
Margie non era preparata a mettere in dubbio quell’affermazione. Disse. – Io non ce lo vorrei un estraneo in casa mia, a insegnarmi.
Tommy rise a più non posso. – Non sai proprio niente, Margie. Gli insegnanti non vivevano in casa. Avevano un edificio speciale e tutti i ragazzi andavano là.
– E imparavano tutti la stessa cosa?
– Certo, se avevano la stessa età.
– Ma la mia mamma dice che un insegnante dev’essere regolato perché si adatti alla mente di uno scolaro o di una scolara, e che ogni bambino deve essere istruito in modo diverso.
– Sì, però loro a quei tempi non facevano così. Se non ti va, fai a meno di leggere il libro.
– Non ho detto che non mi va, io – Sì affrettò a precisare Margie. Certo che voleva leggere di quelle buffe scuole.
Non erano nemmeno a metà del libro quando la signora Jones chiamò: – Margie! A scuola!
Margie guardò in su. – Non ancora, mamma.
– Subito! – disse la signora Jones. – E sarà ora di scuola anche per Tommy, probabilmente.
Margie disse a Tommy:
– Posso leggere ancora un po’ il libro con te, dopo la scuola?
– Vedremo – rispose lui, con noncuranza. Si allontanò fischiettando, il vecchio libro polveroso stretto sotto il braccio.
Margie se ne andò in classe. L’aula era proprio accanto alla sua cameretta, e l’insegnante meccanico, già in funzione, la stava aspettando. Era in funzione sempre alla stessa ora, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, perché la mamma diceva che le bambine imparavano meglio se imparavano a orari regolari.
Lo schermo era illuminato e diceva – Oggi la lezione di aritmetica è sull’addizione delle frazioni proprie. Prego inserire il compito di ieri nell’apposita fessura.
Margie obbedì, con un sospiro. Stava pensando alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare.
E i maestri erano persone… L’insegnante meccanico faceva lampeggiare sullo schermo: – Quando addizioniamo le frazioni 1/2 + 1/4…

Margie stava pensando ai bambini di quei tempi, e a come dovevano amare la scuola. Chissà, stava pensando, come si divertivano!
Isaac Asimov 
pubblicato  anno1954

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